UN, DUE, TRE...SI SALVI CHI PUO'
Ne avete parlato tutti? Adesso tocca a me. Mi piace dopo una tempesta far calmare le acque e poi chissà farle nuovamente agitare. Allora che cosa è questo Squid Game che tanto ha fatto parlare di sé e di cui vedremo presto una seconda stagione? Cominciamo subito col dire che si è violento, ok a tratti splatter, molto splatter direi. Sotto accusa la brutalità e l'eccessiva violenza, che di certo in questa serie tv sudcoreana non mancano. Sarebbe lecito però porsi alcune domande: esiste una violenza eccessiva e una no? Una violenza che proprio non riusciamo a tollerare e una in fondo che come dire ci può stare e quindi la bypassiamo? E chi decide quando la violenza oltrepassa il limite? La violenza è violenza e Hwang Dong-hyuk non è certo il primo a mostrarcela. La serie oltre a scatenare polemiche ci offre anche alcuni spunti di riflessione.


Al centro della storia 456 persone che a suon di sonori sganassoni vengono scelte per partecipare a un innocente gioco. Le prove da superare sono appena sei e i concorrenti non devono fare altro che giocare, come facevano da bambini, niente di complicato quindi, all'apparenza in palio poi ci sta solo una grande quantità di denaro. Quella che se la vinci ti sistemi per tutta la vita. In realtà si tratta di un gioco al massacro, senza esclusione di colpi, scandito da valzer e dalla splendida Fly Me to the Moon, ma in questo il regista non inventa nulla di nuovo! Dopo la prima prova i giocatori più disperati, accetteranno di continuare, allettati dall'enorme globo trasparente, colmo di soldi, sospeso sulle loro teste. Più giocatori vengono eliminati e più questo si riempie di banconote, lasciando a bocca aperta i superstiti.

La serie è paradossale e nell'assurdità della situazione anche ironica. Certe scene, come quella del caramello, fanno in effetti ridere, grazie anche all'ottima interpretazione di Seong Gi-Hun (Lee Jung-jae). Lui è il numero 456, il protagonista, disoccupato, separato, col vizio del gioco e pieno di debiti fino al collo. A accompagnarlo in questa folle e crudele avventura ci sono svariati personaggi: Cho Sang-woo( Park Hae-soo) un suo vecchio e “leale” amico di infanzia, con un passato di successo alle spalle ma caduto ora in disgrazia per una serie di truffe, Kang Sae-byeok (Ho Yeon-Jung), una ragazza nordcoreana dal volto imperscrutabile, Jang Deok-su (Heo Sung-tae) un delinquente dal torbido passato, Alì (Anupam Tripathi) lo sprovveduto e ingenuo immigrato pakistano e infine l'opportunista e matta da legare Han Mi-nyeo (Kim Joo-ryoung). Tutti hanno un buon motivo per accettare di partecipare a questo pazzo gioco. Anche la morte è preferibile alla loro miserabile esistenza e inoltre qui hanno la possibilità di combattere a armi pari con i loro avversari, tutti stanno sullo stesso piano. Ah dimenticavo c'è anche Oh II-nam (Oh Yeong-su) un povero e innocuo vecchietto malato terminale di cancro con ancora la voglia di divertirsi come quando era un bambino! Niente o quasi, più lo spaventa. Meglio aspettare la morte giocando che stesi in un letto!


Una volta superata la prima terrificante prova sarà difficile per i giocatori fermarsi. Stessa cosa per lo spettatore. Eh si perché Squid Game ti trascina nel suo vortice, ti rimane dentro, ti lascia il segno. E no non è per tutto quel sangue, quanto ne abbiamo già visto in tutta la storia del cinema? Il modo gelido e del tutto indifferente con cui viene trattato l'argomento ha invece un grosso peso sulla riuscita della serie e il ricorso all'infanzia è un geniale trabocchetto, è il tramite per minimizzare l'orrore cui si assiste. Questo è ciò che più spaventa e ahimè più attira. L'infanzia è il lasciapassare a tutto questo orrore. La serie è buona e le polemiche, lasciano il tempo che trovano...come sempre!